Trescore, Don Camillo Valota, la storia del vero don Camillo, ecco una nuova ricerca
La storia di Don Camillo Valota, originario di Trescore, in una ricerca che svela la parte della sua vita in Francia
Un nuovo pezzo si aggiunge alla vita di Don Camillo Valota, il vero don Camillo, prete a cui Giovanni Guareschi si ispirò per inventare uno dei personaggi più popolari della narrativa prima e del cinema italiano poi. La ricercatrice Anna Lanfranchi ha pubblicato sulla rivista ‘Bollettino Storico Alta Valtellina -n° 22 2019’ la sua ricerca su don Camillo Valota in Francia.
Don Camillo è originario di Trescore Balneario, ad Entratico ancora oggi ci sono alcuni parenti, tra cui un nipote che spesso erano stati ospitati dallo zio in Valtellina
Chi è don Camillo Valota:
Nato a Bormio il 27 ottobre 1912 da Alessandro e Canclini Giovannina. Il padre era originario di Trescore Balneario, dove i parenti erano commercianti di bestiame, ma si era sposato a Bormio nel 1904. Forse il padre Alessandro si trasferì nel Bormiese al seguito degli alpini del V Reggimento in cui era inquadrato. Don Camillo ebbe tre sorelle (Maria Pierina, Barbara ed Ernesta Angela) e un fratello (Alessandro Clemente). Il padre morì di malattia nel 1917, a soli 36 anni. Nel 2014 il nipote Giuseppe, di Entratico, rilasciò un’intervista raccontando la storia dello zio. G. Valota, Don Camillo era mio zio! in “Araberara” quindicinale. partigiano della seconda guerra mondiale e detenuto nei campi di concentramento di Dachau e Mauthausen. I parenti a Trescore che conobbero don Camillo Valota lo ricordano con un animo forte e burbero, una sorta di fotocopia del personaggio poi incarnato da Fernandel al cinema. Anzi alcune delle scene riportate nel libro da Guareschi si sarebbero effettivamente svolte. Il nipote ricorda una vicenda su tutte: “Mio zio aveva un carattere forte, in una procesione nella qule già c’erano poche persone, ad un certo punto lui prese e se ne andò via verso la chiesa perchè i fedeli non pregvano con sufficiente ardore dietro di lui. Andandosene disse: quando avete voglia di pregare veramente mi trovate in chiesa”
Don Camillo in Francia
Grazie ad Anna Lanfranchi ora abbiamo anche la vita di don Camillo in Francia:
Don Camillo Valota1 fu un personaggio di grande spessore della nostra storia locale e che sicuramente meriterebbe maggiore rilievo, non solo perché le cronache ce lo ricordano come una delle figure che ispirò il sagace don Camillo di Guareschi2 (che conobbe personalmente in carcere), ma soprattutto per il suo percorso umano che lasciò tracce indelebili nelle comunità da lui beneficiate. Erano tempi difficili, quelli in cui egli si trovò a vivere; eppure non si perse d’animo e cercò di portare il suo messaggio cristiano ovunque e con chiunque ce ne fosse bisogno, dalle sperdute parrocchie di montagna al carcere fino ai lager nazisti, dagli Ebrei perseguitati fino ai lavoratori emigrati all’estero… uno spirito libero, ma integerrimo nelle sue convinzioni. Gisi Schena tratteggiò la sua biografia ed alcuni episodi della sua vita soprattutto in relazione al suo impegno durante gli anni del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, che non gli risparmiarono dolori e umiliazioni (la morte della madre, l’arresto, l’incarcerazione e la deportazione a Dachau).3 Nel dopoguerra le tracce di don Camillo ci portano invece in Francia, dove fu parroco per circa 40 anni presso
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1 Nato a Bormio il 27 ottobre 1912 da Alessandro e Canclini Giovannina. Il padre era originario di Trescore Balneario, dove i parenti erano commercianti di bestiame, ma si era sposato a Bormio nel 1904. Forse il padre Alessandro si trasferì nel Bormiese al seguito degli alpini del V Reggimento in cui era inquadrato. Don Camillo ebbe tre sorelle (Maria Pierina, Barbara ed Ernesta Angela) e un fratello (Alessandro Clemente). Il padre morì di malattia nel 1917, a soli 36 anni. Nel 2014 il nipote Giuseppe, di Entratico, rilasciò un’intervista raccontando la storia dello zio. G. Valota, Don Camillo era mio zio! in “Araberara” quindicinale. 2 In alcuni articoli francesi l’identificazione tra ‘don Camillo Valota-don Camillo del Guareschi’ è incontrovertibile: Quello che Guareschi scrisse su di me attraverso il suo don Camillo è molto esagerato (J.M. VUillamy, Don Camillo a Montceau, 9 agosto 2015); Era lui il vero don Camillo! E non è una bugia… (N. Boffet, Don Camillo Valota, Visages du Diocèse d’Autun. 50 ans d’histoire des personnes qui ont fait notre Eglise). In realtà pare che il noto personaggio guareschiano sia nato da una mescolanza di episodi e racconti riguardanti alcuni preti di montagna con cui lo scrittore era entrato in contatto: don Camillo Valota parroco di Frontale, don Alessandro Parenti parroco di Trepalle, don Amanzio Delle Baite parroco di S. Antonio Morignone. Si vedano anche i ricordi dei figli Alberto e Carlotta Guareschi in “Dal piccolo ai grandi orizzonti”, nota 204, pp. 621-622. 3 G. Schena, Frontale fra Otto e Novecento, Bsav n. 12, Bormio 2009, pp. 239-264.
i minatori italiani colà emigrati in cerca di fortuna. Del percorso transalpino di don Camillo si conosce molto poco, nonostante gli otto lustri di permanenza. Devo molto al sig. Bruno Silla, che fu suo conoscente e che ha pubblicato qualche notiziola su “Abbé Camillo”, e alla signora Martine Polo Bonacorsi, il cui nonno Giuseppe Pietro di Bormio,4 trasferitosi a inizio secolo in Francia dove tuttora risiedono i suoi discendenti, conobbe personalmente don Camillo. Il resto l’ho estrapolato dai quotidiani locali, che regolarmente giungevano a don Camillo per tenerlo aggiornato e ancorato alle sue origini e dalle scarne informazioni reperite sul web. Negli anni immediatamente successivi al dopoguerra don Camillo approda a Lione,5 dove rimane dal 1948 al 1951 per poi trasferirsi a Montceau-les-Mines
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4 Giuseppe Pietro era il secondo degli 8 figli di Sebastiano Bonacorsi e di Maria Caterina Canclini, i cui nonni paterni Sebastiano e Bartolomea Tollerini erano giunti a Bormio da Vezza d’Oglio. Sebastiano, padre di Giuseppe, era stato un membro molto attivo della comunità bormina: fondatore della Società Operaia, volontario dei pompieri di cui fu nominato sergente magazziniere nel 1915, nel 1931 risultava proprietario del caffè Eden. Il 15 aprile 1920 Giuseppe sposa a Bormio Giovannina Giuseppa Pedranzini (figlia di Francesco e Colturi Maria) e la coppia sicuramente risiede a Bormio tra il 1921 e il 1924, dove nascono i figli Francesco, Rina Angelina e Giuseppina Elvira. 5 Secondo uno studio la popolazione italiana della circoscrizione consolare di Lione nel primo
in Borgogna, dove era in atto una massiccia immigrazione di lavoratori italiani6 e dove rimase a svolgere il suo apostolato alla Mission Catholique Italienne sino alla fine degli anni ’80, pur senza mai interrompere i suoi rapporti con Bormio (si era infatti abbonato a “Il Corriere della Valtellina”, che leggeva avidamente e al quale talora mandava la propria corrispondenza dall’estero). Forse nella decisione di lasciare l’Italia non era estraneo un sentimento di delusione per la piega politica che – in molte comunità – si stava facendo strada nell’immediato dopoguerra: la visione della guerra di Resistenza come una sorta di “guerra rossa” che il comunismo si era avocato, dimenticando che tra le fila della Resistenza militarono persone di ogni credo unite solo dalla lotta al nazifascismo. In un articolo francese si riporta un episodio risalente al dopoguerra con protagonista don Camillo e i suoi non meglio
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semestre del 1936 si avvicinava a 63.500 unità. Ma tenendo conto dei minorenni lì nati e ritenuti francesi per legge, il consolato stima che la comunità italiana raggiungesse le 80.000 persone. P. Videlier, Les Italiens de la Région Lyonnaise, in Les Italiens en France de 1914 à 1940, Publications de l’École Française de Rome n. 94 (1986), pp. 661-691. 6 Montceau Les Mines era all’epoca un distretto minerario di primaria importanza, la cui popolazione era decuplicata per effetto delle imponenti immigrazioni lavorative. Si calcola che nel dipartimento della Saone-Loira (da cui dipende Montceau) gli italiani crebbero dai 500 registrati alla vigilia del primo conflitto mondiale ai 3600 del 1926. P.J. derainne, Histoire et mémoire des immigrations en région Bourgogne, 2009, p. 95.
identificati parrocchiani (possiamo presumere con buona probabilità che fossero i frontalaschi): dal momento che le funzioni religiose erano disertate a causa dei suoi sermoni un po’ troppo conservatori, per reazione don Camillo pitturò completamente di rosso (il colore del comunismo) la sua macchina da scrivere!7 Episodio che sarebbe perfettamente in linea con una delle trame del famosissimo “Peppone e don Camillo”… Ad ogni buon conto, don Camillo si trasferì in Francia. All’epoca il fulcro della comunità bormina si trovava a Vierzòn (a circa 400 km di distanza da Lione), dove don Camillo trascorse la Santa Pasqua del 1949 circondato da tre nostre numerose e tipiche famiglie: Bonacorsi Giuseppe e Pedranzini Giovannina,8 Spechnauser Giuseppina vedova Mevi,9 Canclini e Pedrana Marta,10 una ventina di persone in tutto. Sono i primissimi anni di lontananza e don Camillo descrive quelle piccole tradizioni, quei lavoretti, quegli oggetti attraverso i quali si manteneva il legame con la terra d’origine: i merletti che la Giovannina aveva ricamato nella sua gioventù mentre custodiva il gregge
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7 J.M. VUillamy, Don Camillo a Montceau, 9 agosto 2015. 8 Si veda la nota n. 4. 9 Spechenhauser Giuseppa (figlia di Pietro e Pierina Rocca) sposa il 5 ottobre 1922 Giuseppe Alessandro Mevi (di Alessandro e Caterina Zontini). Le loro ultime tracce nei registri parrocchiali di Bormio sono attestate nel 1928. Un trafiletto de “Il Corriere della Valtellina” del 1949 riporta il necrologio di Mevi Giuseppe fu Angelo, deceduto il 9 marzo in Francia ove si trovava da tanti anni e dove aveva raggiunta una buona posizione economica e sociale. 10 Canclini Luigi (figlio di Basilio e Lucrezia Canclini) sposa il 15 febbraio 1926 Marta Pedrana (figlia di Pietro e Teodora o Isodora Giuditta Compagnoni). L’ultima traccia nei registri parrocchiali di Bormio risale al 1931, quando nasce la figlia Iole Lucia. Altri due figli erano nati a Bormio: Gino Arturo nel 1927 e Giovannina Ada nel 1927.
Don
alla Sabroneira;11 i canti sacri imparati nelle chiese bormine che riecheggiano gioiosi in casa Bonacorsi alla presenza del buon Bepi Bastianin, direttore della corale in terra francese; la canzone intitolata “La Taverna dei Gat de Comb” intonata tutti insieme come un inno alla Magnifica Terra… Riuniti intorno al desco familiare, il pastore e le pecorelle lontani dal suolo natio rievocano persone e fatti e luoghi come in un film. Possiamo immaginare il leggero cicaleccio, l’affollarsi dei ricordi, la nostalgia, il senso di appartenenza alla stessa terra, la fierezza composta di chi porta nel cuore il proprio paese. Non è un caso che il trafiletto comparso su “Il Corriere della Valtellina” sia firmato da don Camillo Valota Missionario: il sacerdote volle tornare al senso più puro e genuino della sua attività di pastore in mezzo alle anime, soprattutto dopo le brutture della guerra. E se in Valtellina, pur soffrendo la fame, iniziava la fase della ricostruzione che avrebbe portato al benessere, lì in Francia don Camillo combatteva in mezzo ai minatori non solo la miseria economica, ma anche quella morale, l’abiezione, l’avvilimento dell’animo: don Camillo visse
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11 La Sablonéira sf. «recinto dove si fa entrare l’acqua del fiume per depositarvi la sabbia» (Longa 215), da sablón (sabbia grossa). Il toponimo era piuttosto vago, indicando semplicemente un deposito alluvionale che poteva essere ubicato ovunque lungo il letto di un torrente.
povero tra i poveri, condividendo le stesse dure condizioni degli immigrati12 e dandosi da fare per aiutarli in ogni modo, un passo dopo l’altro, metodico, tenace, portando in giro la sua proverbiale logora veste.13 Come scrive Danilo Vezzio, francese discendente di emigranti friulani, nel dopoguerra la massa di italiani allo sbaraglio era enorme. Lavoratori, la cui miseria economica si stava riducendo rapidamente, mentre la miseria morale aumentava altrettanto rapidamente, quasi abbandonati da tutti: «rital»14 in Francia, «francesi» in Italia. In mezzo a tale degradazione operavano degli uomini-preti che ci hanno portato quella piccola luce, che ci faceva sentire meno “bestie da soma” e più uomini con corpo e anima e tra questi anche il nostro don Camillo.15 Le biografie di don Valota non parlano di ordini missionari, però curiosamente in un articolo del 1954 viene definito “missionario scalabriniano”. Al suo interno egli si faceva portavoce presso i suoi concittadini bormiesi di una richiesta
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12 N. Boffet, Don Camillo Valota, Visages du Diocèse d’Autun. 50 ans d’histoire des personnes qui ont fait notre Église. 13 G.F. mazzUcchelli, Bormio, “Terra Maestra” prepara un secondo avvenimento storico, ne “Il Corriere della Valtellina” del 20 novembre 1954. 14 Rital (al plurale ritals) è un termine popolare francese che indica una persona italiana o di origini italiane. Esso possiede una connotazione peggiorativa e ingiuriosa e venne applicato agli operai italiani immigrati in massa in Francia e Belgio prima e dopo la seconda guerra mondiale per lavoro. Da Wikipedia. 15 D. Vezzio, 50 anni di sacerdozio al servizio degli emigranti italiani, 15 giugno 2016, in http:// maisondesitaliens.fr/category/fogolar-furlan/.
particolare: la donazione di alcune campane “mute e messe a riposo”16 per la chiesetta costruita nel quartiere operaio di Montceau-les-Mines, a servizio dei minatori italiani, e sarebbe stata per quei poveretti, portati dalle necessità a vivere in terra straniera, un raggio di sole della madre patria.17 In questo modo la voce delle campane sarebbe risuonata come voce simbolica di lontano richiamo, di fraterna solidarietà e di fede che oltrepassa ogni confine. Un ponte, insomma, tra Italia e Francia, tra Bormio e Montceau-les-Mines, un po’ come il S. Crocifisso di Combo che proprio in quegli anni aveva preso la via della Spagna.18 Il giornale evidenziava una certa riluttanza alla proposta perché i Bormiesi sono assai gelosi delle loro tradizioni, anche se purtroppo hanno lasciato cadere in abbandono e rovina tante delle proprie chiese. L’anno successivo don Valota reitera la richiesta di donazione delle campane
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Quasi sicuramente si trattava delle campane delle ex chiese di S. Francesco, S. Sebastiano e S. Lorenzo, demolite rispettivamente negli anni ‘30, nel 1944 e nel 1923. 17 G.F. mazzUcchelli, cit. 18 Il S. Crocefisso è un simulacro con una fortissima valenza simbolica e religiosa, che lega Bormio a Bellpuig attraverso i secoli.
allegando anche una foto della chiesa con il desolato campanile muto: Nel mattino del Sabato Santo le campane non potranno suonare per don Camillo e i suoi emigranti. Ancora attende da noi una parola e un dono perché la sua chiesetta abbia una voce. E nel mentre don Camillo aspettava invano le campane dai bormini, rimpiangendo di non avere la stessa forza persuasiva del suo omonimo cinematografico – il quale, senza tante sottigliezza sarebbe già arrivato fin quassù e si sarebbe caricate sulle robuste spalle una delle tre campane che giacciono silenziose e abbandonate nel magazzino, l’avrebbe portata via e appesa con le sue mani al campanile negletto – egli stesso non ebbe alcuna esitazione nel donare un calice artistico che gli era caro (ricordo della sua prima messa, celebrata nel 1937) alla parrocchia di Bellpuig (Catalogna), presso la quale fu promotore del restauro del S. Crocifisso.
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19 Se è probabile che la richiesta di don Camillo presso i bormini rimase
19 J. yegUaS I gaSSó, Fragments d’art: vària linyolenca, el calze de Camillo Valota, aportacions als catàlegs de Lluís Bonifàs i Francesc Albareda II, in “Quaderns de El Pregoner d’Urgell” n. 23 (2010), pp. 67-86.
senza esito,20 è certo che non si abbandonò allo sconforto perché la sua missione reclamava ogni attenzione e ogni sforzo lasciando ben poco spazio all’autocommiserazione. Don Camillo fu per i suoi minatori e parrocchiani un riferimento imprescindibile e non è un caso che il Consolato Generale Italiano
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20 Nel Museo Civico di Bormio sono conservate 3 campane, di cui una della ex chiesa di S. Gottardo e una della ex chiesa di S. Francesco. Cfr. http://campanevaltellina.it/censimento/bormio/bormiomuseo. Php
di Lione lo avesse eletto delegato per il disbrigo delle pratiche relative ai suoi connazionali. Anche nello svolgimento della sua missione era molto pratico (Non predico mai più di 10 minuti: oltre la gente si annoia, dorme e non ascolta più niente21), eppure spargeva semi che poi diedero frutto: con don Camillo ho vissuto i primi 13 anni del mio ministero a Montceau e grazie a lui ho davvero capito che la preghiera è il vero modo per entrare in dialogo con l’amore di Dio, senza mai rinuciare ad essere se stessi.22 Dalle poche testimonianze di quei francesi che lo hanno conosciuto, emerge soprattutto un quadro di grandissima umanità: «…mi ha fatto capire che l’essenziale è amare le persone, interessarsi alla loro vita»,23 «I parrocchiano lo amavano molto perché lui stesso li ricambiava con altrettanto amore»,24 e ancora «…è stato un uomo buono e molto umano».25 Quella stessa umanità che si evince da una lettera di condoglianze in cui si rivolge affettuosamente a mamma Giovannina Pedranzini per consolarla della perdita del figlio Giuseppe Pietro Bonacorsi.26 Buongustaio, era amante della tavola (anche per la convivialità che accompagnava i pasti) e da buon valtellinese non disdegnava un bel bicchiere di vino;27 non a caso ho scovato tracce di don Camillo perfino su una Guida di Vini francesi! Nel presentare una bottiglia di rosso di Borgogna prodotto dalla cantina “GAEC des Vignerons – GUY FONTAINE ET JACKY VION”, la guida racconta: [Questo è] il vino di don Camillo, ma il vero don Camillo! Qui non si parla del canonico Kir28 né dell’invenzione letteraria del Guareschi, bensì di don Camillo de Valotta, che esercitò il suo lungo ministero a MontceauLes-Mines e di quando in quando veniva a far visita alla famiglia di vigneron, presso la quale amava degustare un buon bicchiere. Mi piace pensare che in quel bicchiere di vino si rinsaldasse anche il legame con la sua Valtellina… Giocherellone, pieno di vita, con un gran buon umore: pare quasi che la
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21 J.M. VUillamy, cit. 22 N. Boffet, Doyenné Creusot-Montchanin, 2007 in http://www.eglise-bassin-creusot-montchanin. com/index.php/spip.php?article965 23 N. Boffet, Don Camillo Valota, Visages du Diocèse d’Autun. 50 ans d’histoire des personnes qui ont fait nôtre Église. 24 Intervista ad Armelle Laforest, la cui famiglia era molto amica di don Camillo, di J.M. VUillamy, Don Camillo a Montceau in “Le Journale de Saône-et-Loire”, 9 agosto 2015. 25 J.M. VUillamy, Don Camillo a Montceau, in “Le journal de Saône-et-Loire”, 9 agosto 2015. 26 Lettera del 25 maggio 1971 dalla Mission Catholique Italienne di Montceau-Les-Mines, firmata da don Camillo e fornitami dalla signora Martine Polo Bonacorsi. 27 C’était un gourmand. Il tenait bien sa place à table et ne détestait pas boire un bon vin. (…) Il connaissait toutes les bonnes adresses et savait ceux qui distillaient une bonne grappa. Intervista ad Armelle Laforest, di J.M. Vuillamy, cit. 28 Felix Kir, famoso sacerdote e uomo politico francese, ricordato per il suo carattere spigoloso e per un aperitivo che da lui prende il nome, basato su crema di ribes bianco e vino bianco Borgogna.
“seconda vita” di don Camillo in terra francese fosse tesa a portare un raggio di luce, dopo gli orrori della guerra, e per i minatori dopo una dura giornata nelle viscere della montagna. I legami instaurati da don Valota presso la piccola comunità operaia furono solidi e duraturi e si mantennero vivi nonostante il tempo e le distanze. Ancora oggi a Montceau ai primi di settembre si svolge la Festa della Madonna, una solenne processione con la statua della Vergine seguita da un piccolo intrattenimento, che riunisce i discendenti degli emigrati italiani. La festa fu istituita proprio da don Camillo Valota più di 20 anni fa come occasione di incontro e di scambio e oggi viene perpetuata in omaggio a questo volitivo prete di provincia, pilastro e sostegno di intere generazioni di emigrati oltralpe. Oltre a ciò, dopo la morte avvenuta a Bormio il 2 novembre 1998 i riconoscenti Montcelliens ebbero la premura di intitolargli una sala comunale, la salle Don Camillo Valota, acquistata dall’associazione Amicale Italienne proprio grazie al suo aiuto.29 La vita di don Camillo sarebbe ancora oggi di estrema attualità perché fu una parabola che si concretizzò nell’emigrazione dall’inizio alla fine: lui, figlio di emigrati, diventato a sua volta emigrante e assunto a simbolo degli emigrati italiani in Francia. Quel che si dice “un predestinato”.
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29 L’associazione “Amicale Italienne du Creusot” raccoglie amici e simpatizzanti legati alle loro origini italiane a scopi culturali e ricreativi. Partecipano a numerose iniziative cittadine e promuovono la conoscenza, lo scambio, l’integrazione fra i popoli.