La Storia – A Trescore il primo gruppo di Testimoni di Geova indiani
Imparare la lingua indiana, più precisamente il Punjab per catechizzare anche gli indiani, a Trescore il gruppo dei Testimoni di Geova può vantarsi di avere nelle proprie fila il primo gruppo di testimoni di origine indiana, più precisamente di Sikh il famoso popolo ‘guerriero’ dell’India che ha riversato da anni molte famiglie all’estero soprattutto in Italia. Un piccolo gruppo di volontari, trasportati da una ferrea volontà si è così buttato nell’ostica impresa di imparare questo dialetto per poi andare a casa in casa lì dove abitano delle famiglie indiane per portare il messaggio della Bibbia, stavolta parlando in Punjab e non più in Italiano, e l’idea alla fine ha funzionato. Tra i volontari che si sono imbarcati in questa missione evangelizzatrice che passa attraverso il dialetto indiano c’è Renato Savoldi, gelataio rinomato di giorno a Sarnico e ‘convertitore di anime’ di sera. “iniziai a pormi le classiche domande esistenziali alle quali non riuscivo a trovare una risposta. – spiega Renato – Mi chiedevo anche chi fosse Dio, qual era il suo nome, queste risposte le ho trovate grazie ai Testimoni di Geova. Ho 46 anni, sono sposato con due figli e faccio il gelataio da anni, un lavoro che ho ereditato da mio padre e da mia nonna, la prima che ha portato il gelato a Sarnico. La mia famiglia è per tradizione cattolica e anche io andavo regolarmente a messa. Poi un giorno, era il 1995, andai dall’allora parroco di Sarnico Don Giovanni Ferraroli, gli posi questa domanda precisa: “qual’è il nome di Dio”? Lui non seppe darmi una risposta convincente. Feci la stessa domanda ad un mio zio Testimone di Geova, lui aprì la Bibbia nel Salmo 83 al versetto 18 dove si dice che il nome di Dio è Geova, traduzione in italiano del tetragramma ebraico YHWH che significa “Egli fa divenire”, cominciai a capire
Fino a quell’anno anche io avevo il concetto dei Testimoni di Geova che hanno molti, persone che passano il tempo ad importunare la gente e a suonare campanelli. Mio zio invece mi ha mostrato un altro aspetto dei testimoni di Geova e così ho iniziato un percorso che mi ha portato ad abbracciare questa religione. Ho visto che seguendo le indicazioni di mio zio, tutto doveva derivare semplicemente dalla Bibbia che indica il percorso da seguire. Non ci sono altre indicazioni, tutto è scritto nel Vecchio Testamento e nel Vangelo.
Così ho fatto l’ultimo passo e mi sono battezzato, Il battesimo avviene per immersione, in una piscina, in un lago, nel mare, ci si deve immergere totalmente nell’acqua così come fece Gesù. Successivamente anche mia moglie ha deciso di abbracciare questa fede e di seguirmi nelle riunioni. Mia moglie all’inizio non era della mia stessa idea, poi ha voluto provare a venire nella sala della comunità ed ha visto di persona come si comportano i Testimoni, la loro coerenza e soprattutto come la Bibbia sia il riferimento per le loro scelte”.
Imparare il Punjab:
Dalla parola di Dio testimoniata in italiano al messaggio evangelico in dialetto punjab, il passo è arrivato nel 2006-07 quando il territorio posto tra la bassa Valcavallina, la Valcalepio e il basso Sebino è stato letteralmente invaso da famiglie indiane arrivate in Italia in cerca di lavoro. Giovani che andavano a trovare lavoro soprattutto nelle aziende della gomma, nelle varie aziende agricole della pianura o sui furgoni dei trasporti privati. “Nel 2006 mi hanno proposto la possibilità di imparare il punjab, il dialetto parlato nel nord dell’India soprattutto dai Sikh, sul nostro territorio erano arrivate tante famiglie da quella regione e c’era la necessità di instaurare un dialogo con loro, così ho accettato. Sono venuti qui insegnanti Testimoni che ci hanno fatto lezioni, partendo dall’alfabeto totalmente diverso dal nostro, alle regole grammaticali fino alla conversazione vera e propria. Il punjab, che non è l’indiano ma un dialetto parlato a nord, non è poi così difficile da parlare correttamente, io – prosegue Renato Savoldi – ci ho messo un anno circa per iniziare a parlare correttamente questa lingua. Ricordo che la prima volta avevo preso al contrario il libro. Tutto questo sforzo con l’unico obiettivo di evangelizzare queste famiglie, di portare la testimonianza della Bibbia. Oggi qui nella congregazione di Trescore ci sono 14 persone italiane che parlano correttamente il Punjab”.
E così da Renato a Jaswinder Mahay il passo è stato breve perché Jaswinder è l’altro protagonista di questa avventura evangelica tra Italia e India. “Sono arrivato in Italia nel 2000, prima ero andato in Germania a lavorare grazie a mio fratello che lavorava già in Germania.
Lui si era già avvicinato ai testimoni di Geova per studiare la Bibbia andare con lui nelle varie riunioni e mi aveva invitato a leggere la bibbia.
Io arrivo da una regione dove la religione e la spiritualità sono molto importanti e sono molto presenti nella vita di tutti i giorni. I Sikh hanno una propria religione fatta da santi, da testi sacri e da regole da seguire ma spesso si finisce per mischiare vari tipi di credo in India. Un altro aspetto importante dell’India è che molti sono fatalisti, molti pensano che tutto quello che accade sia dovuto al destino e quindi viene accettato tutto passivamente perché è come se fosse Dio che lo ha deciso. Così anche la società divisa in caste è molto rigida, perché tutto sembra essere deciso a priori. La divisione in caste spesso viene trasmessa anche all’estero e ogni volta che ti avvicini ad un indiano lui ti chiede di che casta sei. Io quindi quando sono arrivato in Germania volevo pensare solo a lavorare e a costruirmi una nuova vita, non volevo più sentire parlare di religione, di testi sacri. Alla fine però ho iniziato a leggere la bibbia anche perché da parte di mio fratello non c’era nessuna costrizione, nessun obbligo. Poi sono venuto in Italia e qui la lettura della bibbia mi è servita anche per imparare l’italiano, leggevo il testo in punjab e poi la leggevo nel testo in italiano. Vedevo poi come era l’ambiente, fatto di amicizia, senza discriminazioni razziali e alla fine ho deciso di farmi battezzare battezzato. Ora sono sposato ed anche mia moglie è diventata testimone di Geova.
Inoltre qui non ci sono caste, non ci sono differenze nemmeno tra credenti e clero, tutti sono sullo stesso piano perché tutti traggono spunto dalla bibbia” e Jaswinder inizia così a fare proselitismo con il primo approccio al fatidico campanello. “Mi ricordo ancora la prima volta, ero con un fratello italiano, era il 2006 ed io non volevo suonare il campanello ma lui mi ha convinto a farlo. Di solito io cerco di avvicinare le famiglie indiane che sono sempre comunque ospitali per natura, suoni e loro ti ascoltano comunque sempre, anzi, ti chiedono se vuoi da bere, se hai mangiato, ti fanno entrare e ti ascoltano. Questo perché gli indiani per natura sono molto interessati alla spiritualità e sono in un certo modo anche aperti. Poi da qui alla conversione ce ne passa, serve un lungo percorso e tanta costanza”. E per Jaswinder non è stato sicuramente semplice fare la scelta di conventirsi nei testimoni di Geova.
“Abbandonare la religione sikh vuol dire in un certo modo uscire dal gruppo tradizionale, tagliare qualche ponte con amici e parenti, ti rimangono amici ma sicuramente c’è un atteggiamento più distaccato”.
E così oggi la comunità indiana di Testimoni di Geova è la prima nata a Trescore e conta già un buon numero di fratelli, perché qui siamo tutti fratelli.
“Noi ci sentiamo uguali tra di noi – spiega sempre Renato Savoldi – non c’è clero, c’è solo la Bibbia. Ci sono poi molte differenze con la tradizione cattolica, per noi il Natale è una festa pagana, nel senso che è legata a tradizioni pagane alla rinascita del sole, nella Bibbia non c’è traccia del natale a dicembre. Per noi c’è Commemorazione della Morte di Cristo e il battesimo,
che viene fatto in età matura, quando c’è la consapevolezza di voler abbracciare la fede cristiana, così come fece Gesù.
e il matrimonio pur considerato come sacro non ha una liturgia ma è solennizzato da una funzione civile con un discorso fatto da un nostro ministro di culto quindi il Natale e non celebriamo neppure il matrimonio che per noi è una funzione civile.
Infine non crediamo nella verginità di Maria, nella Bibbia infatti si parla di fratelli e sorelle di Gesù”. E i Testimoni di Geova crescono: “Per noi evangelizzare non significa fare proselitismo ma dare una testimonianza o proclamare un messaggio, poi spetta alla persona decidere di abbracciare i dettami della Bibbia o meno, la fede non deve essere imposta ma abbracciata consapevolmente. E di congregazioni a Bergamo ce ne sono molte e spesso ci sono gruppi stranieri, albanese, romeni, e qui a Trescore appunto la prima congregazione indiana. In Italia ci sono 350 Punjabi inseriti nelle varie congregazioni italiane
A Trescore abbiamo una propria comunità composta da 34 battezzati. In Italia ci sono 250 mila testimoni dedicati a questa attività e nel mondo circa 9 milioni, siamo in aumento con una percentuale del 3% annui e un bacino di interesse di circa 10 milioni di persone interessate. Fino a pochi anni fa, prima della grande migrazione era la seconda religione d’Italia poi è stata superata dalla religione Musulmana. Con loro è difficile avere un dialogo, diciamo che sono molto meno aperti rispetto agli indiani”.
Ma come va avanti una congregazione come quella di Trescore? Quanta gente partecipa attorno alla sua attività? “Come ogni associazione, noi ci autotassiamo, all’ingresso c’è una sorta di cassetta con tre contenitori dove uno mette quello che vuole, non c’è nessun obbligo – spiega Pietro Arrigoni, uno di quelli che passa di paese in paese a portare la ‘testimonianza’ – così come non c’è nessun obbligo a partecipare alla vita della Comunità. Qui addirittura possono venire a sentire le nostre riunioni persone che non sono Testimoni di Geova”.
Matteo Alborghetti